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Sulla Gazzetta di Modena parliamo di bullismo e prevenzione


La vicenda, di cui riferivamo ieri, di una ragazzina modenese costretta a cambiare scuola perché vittima di pesanti atti di bullismo e molestie, in una scuola media della provincia, ha riportato alla ribalta un fenomeno presente in numerosi istituti del nostro territorio. Ne parliamo con Olga Di Monaco laureata in Psicologia dello sviluppo e Psiclinica. Di Monaco lavora come libero professionista a Modena e a Carpi presso la Cooperativa Giravolta, per la quale ha curato il progetto sulle “emozioni e nuove tecnologie” delle medie Ferraris.

Dottoressa, molto spesso i progetti riguardanti lo stare insieme prendono il via alle scuole medie: giusto cominciare in questo periodo?

«Trovo utili gli interventi alle medie, anche se spesso si attuano quando si sono già verificati determinati episodi, quindi sarebbe utile poter pensare a percorsi di natura preventiva anche a partire dalle elementari, perché il contesto classe in cui i bambini vengono inseriti è determinante al fine della loro formazione, già a partire dai 5-6 anni. Tante volte i giovanissimi arrivano alle medie non avendo lavorato sul riconoscimento delle proprie emozioni. Si trovano di fronte un gruppo molto ampio e non sanno come gestire i sentimenti che provano».

Che tipo di iniziative didattiche consiglia al proposito?

«Sono tante le attività che possono essere fatte per consolidare competenze personali e acquisirne di nuove a livello di dinamiche relazionali. Importante in tal senso anche l'istituzione di laboratori ludico-espressivi, che attraverso il gioco aiutano i bambini a lavorare in gruppo, conoscersi meglio e condividere un'esperienza, positiva o negativa che sia. In queste situazioni è fondamentale il coinvolgimento dei genitori e degli insegnanti; per condividere con loro intenti e obiettivi».

Quando lavora con le scuole si trova di fronte professori collaborativi?

«La mia esperienza con gli insegnanti è positiva. Sono stati sempre molto attenti e scrupolosi, anche nel riconoscere una difficoltà e non mettersi le mani di fronte agli occhi, ammettendo di avere bisogno di un aiuto in più per risolvere determinate problematiche. Al proposito, chiedo ai docenti di avere sempre un occhio di riguardo e di conseguenza rivolgersi alle professionalità».

Si dice che il bullo e la vittima si scambiano spesso di ruolo: conferma?

«È vero, tante volte si verifica questo fenomeno. Le famiglie riferiscono che a casa i ragazzi non hanno i comportamenti che invece manifestano in un gruppo classe. Non so quanto sia utile andare a individuare le caratteristiche di una o dell'altra componente, perché il rischio è quello di generalizzare e colpevolizzare sia la vittima che il bullo. Penso possa essere d'aiuto, invece, vederli come degli adolescenti in evoluzione, delle persone che stanno crescendo e che stanno cercando una strada per stare al mondo».

E i social network?

«Stanno trasformando subdolamente quello che è un fenomeno che tante volte ha nelle manifestazioni verbali o fisiche il punto culmine di violenza. La chat costituisce un background che non permette nemmeno ai ragazzi stessi di individuare atteggiamenti che, dal vivo, vengono comunemente intesi come aggressivi e non positivi».

Quali sono i social più utilizzati dai ragazzi ora?

«Whatsapp a Snapchat

usati fin dalle medie. Spesso il cellulare costituisce un elemento che permette di non sentirsi direttamente responsabile dell'azione, in più, così facendo, non si vede a chi si è fatto un torto e la conseguente reazione a quest’ultimo: una deumanizzazione di chi scrive e di chi riceve».


20 giugno 2016



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